Shoah, il calvario dei bambini e gli atleti perseguitati dai nazifascisti (video di tabloid)
Nel nuovo video del programma della Città metropolitana il reading per le scuole organizzato dalla consigliera di parità sulla memoria delle deportazioni dei bambini nei lager e la mostra al Museo ebraico sulle vite spezzate degli sportivi “non ariani” e dissidenti.I nomi contano, legano il ricordo a volti e storie. Quelli delle sorelline Tatiana e Andra Bucci e del loro cuginetto Sergio De Simone emergono da una delle pagine più spaventose della tragedia indicibile della Shoah: la persecuzione dei bambini. Tatiana, Andra e Sergio insieme alle mamme Mira e Gisella, fra loro sorelle, alla nonna materna Rosa e a due zii furono deportati ad Auschwitz, dopo un internamento nella risiera di San Sabba, nel marzo del 1944. Tatiana e Andra riuscirono a sopravvivere all’inferno del lager e dopo la liberazione dal nazismo e lunghe peregrinazioni in Europa, poterono ricongiungersi ai genitori nel dicembre 1946. Sergio, invece, non tornò mai più, torturato negli orrendi e sadici esperimenti nazisti pseudomedici e poi impiccato e incenerito con altri diciannove bambini per cercare di nascondere le prove di quei terribili crimini contro gli innocenti. Sua madre Gisella, però, preferì non sapere ciò che Sergio aveva sofferto sino alla morte, per continuare a sognarne il ritorno. E’ la storia vera dal libro “Meglio non sapere” di Titti Marrone che ha ispirato un reading per le scuole superiori nella sala Consiglio della Città metropolitana di Genova, promosso dalla consigliera di parità Mariacarla Sbolci con il consigliere supplente Carlo Chiesa e curato dall’associazione culturale Società per azioni politiche di donne. I nomi contano sempre. Anche per i tanti atleti ebrei, rom, sinti, o comunque “non ariani” e dissidenti perseguitati dai nazifascisti che usavano lo sport come propaganda del regime, strumento della politica per affermare le dottrine razziste e controllare le masse. Uno sport che invece di unire poteva discriminare, perseguitare e uccidere.Fu il destino di Arpad Weisz, ebreo ungherese prima calciatore e poi grande allenatore in Italia che scoprì anche Meazza, del campione di nuoto ebreo tunisino Alfred Nakache, deportati e uccisi nei lager o del pugile Johann Trollmann, mandato in prima linea a morire perché quando a lui, sinti, venne ritirato il titolo di campione tedesco, si ribellò al razzismo nazista salendo sul ring con la pelle imbiancata dalla farina e i capelli tinti di biondo e in questa drammatica simulazione dello stereotipo "ariano" di Hitler si lasciò sconfiggere. Spediti al fronte per punizione furono anche atleti tedeschi “ariani” come Carl ‘Luz’ Long, morto in Italia, che aveva osato simpatizzare pubblicamente con l’afroamericano Jesse Owens, quattro volte medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino.Furono molti gli atleti dalle vite spezzate e il volto più nero e disumano dello sport entrò anche nei ghetti e nei lager perché le SS per umiliare e denigrare gli ebrei si accanivano su di loro obbligandoli a sfinirsi in flessioni a terra, nel fango di Varsavia, o a trasformarsi, come a Minsk, in cavalli umani, spronati a correre per sopravvivere qualche altro giorno. Lo ricordano, penetrando sino in fondo alle nostre coscienze, le parole della vicepresidente della Comunità Ebraica Miryam Kraus alla mostra “Sport, sportivi e giochi olimpici nell’Europa in guerra” sino al 17 marzo Museo della Comunità ebraica di Genova che l’ha organizzata con Mémorial de la Shoah de Paris.Ripercorre queste pagine intense e drammatiche della memoria, dal calvario dei bambini alle persecuzioni degli atleti, anche un nuovo video del programma Tabloid della Città metropolitana di Genova.