La grande peste di genova del 1656-57 in mostra al museo dei cappuccini (video di tabloid)
Documenti d'archivio, opere letterarie e dipinti raccontano gli aspetti medici, sanitari, farmaceutici e assistenziali della terribile epidemia che uccise in meno di due anni il 70-75% dei genovesi. Secondo stime attendibili uccise nel giro di due anni il 70-75% della popolazione genovese, che era allora di circa 100.000 persone, e fu quindi un’autentica strage, una tragedia storica più sconvolgente di una guerra: la grande peste del 1656-57 colpì con estrema violenza una Genova al culmine della sua grande potenza marittima, mercantile e finanziaria, e non risparmiò neanche la nobiltà, che pure aveva il grande vantaggio di poter fuggire dal morbo rifugiandosi nelle numerose tenute di campagna. All’epidemia di metà Seicento, arrivata attraverso i traffici marittimi da Napoli e da Roma e quasi sempre letale in pochi giorni dal momento del contagio, è dedicata una mostra al Museo dei Beni culturali Cappuccini di Genova (viale IV Novembre, 5, ingresso da via Bartolomeo Bosco, dietro il palazzo di Giustizia), che aprirà i battenti sabato 1 aprile per restare aperta fino al 2 luglio 2017 con orario 15-18.30 dal martedì alla domenica (il giovedì 10-13 e 14-18.30). L’inaugurazione sarà oggi, venerdì 31 marzo, alle 18. La mostra, curata da Daphne Ferrero e Luca Piccardo, prende le mosse dal libro che alla pestilenza del 1656-57 dedicò proprio un cappuccino, padre Romano da Calice: in quel volume, che ebbe tre edizioni fra gli anni ’90 e il 2004, i tragici avvenimenti che colpirono la città sono raccontati attraverso le testimonianze dei alcuni personaggi, prevalentemente religiosi dediti all’assistenza degli appestati, che vissero quella tragedia in prima persona, lasciando una documentazione spesso unica e straordinaria: Padre Antero Maria Micone da San Bonaventura, agostiniano scalzo, descrisse in un volume i numerosi lazzareti sorti ovunque in città (se ne contavano ben 11, di cui quello più famoso alla Foce, e all’apice del contagio i morti erano così tanti che non c’era abbastanza personale per curare gli ammalati e neanche per seppellire i morti); padre Maurizio Taxil da Tolone, frate cappuccino, ‘profumiere’, venne chiamato in città dalla Repubblica per disinfettare le abitazioni ammorbate con i preparati chimici (‘profumi’) per cui divenne celebre durante la pestilenza di Marsiglia (nonostante il nome, appare evidente dalle ricette descritte negli scritti di Taxil, ed esposte nella mostra, che i suoi preparati fossero in realtà potenti veleni); Giò Bartolomeo Campasso, benemerito notaio della Repubblica di Genova, fu incaricato di raccogliere in un volume di 284 pagine tutti gli editti e le leggi emanati dallo Stato durante il periodo della pestilenza. Questi ad altri documenti esposti in mostra sono tratti dall’Archivio di Stato di Genova, dall'Archivio Storico Provinciale dei Frati Cappuccini di Genova e dalla Biblioteca Provinciale dei Frati Cappuccini di Genova, e dagli archivi degli antichi ospedali genovesi di Sant’Andrea e di Pammatone (oggi conservati rispettivamente presso gli archivi degli ospedali Galliera e San Martino). Non mancano alcuni oggetti dell’epoca, come strumenti medici, e opere d’arte aventi a oggetto la peste. La mostra, a cui è collegato un ciclo di conferenze su vari aspetti della peste (storico, medico, farmaceutico, religioso, assistenziale e artistico) ha il patrocinio di Comune di Genova, Città Metropolitana di Genova, Regione Liguria, Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e Azienda Sanitaria 3 Genovese.
Info e prenotazioni: +39 010 8592759 – info@bccgenova.org
Chiuso nei giorni di Pasqua, 25 aprile, 1 maggio, 2 e 24 giugno.
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