Bambini nella shoah e anche lo sport piombo' nell'orrore nazifascista
6 milioni di ebrei massacrati e 5 milioni di oppositori, partigiani, prigionieri di guerra, nomadi, testimoni di Geova, disabili. Il male nell’orrenda banalità nazista non ha confini, però i figli strappati dalle braccia, la persecuzione dei bambini sono tra gli aspetti più spaventosi della tragedia indicibile della Shoah. Come la storia delle sorelline Tatiana e Andra Bucci e del cuginetto Sergio De Simone deportate ad Auschwitz con le due mamme, sorelle fra loro, la nonna materna e due zii. Tatiana e Andra riusciranno a sopravvivere al lager e dopo la fine del nazismo e lunghe peregrinazioni per l’Europa nel dicembre 1946, drammaticamente segnate dagli abissi del male, potranno ricongiungersi ai genitori. Sergio, invece, non tornerà mai più, ma sua madre Gisella preferirà non sapere della sua sorte, per continuare a sognarne il ritorno. E’ la storia vera dal libro “Meglio non sapere” di Titti Marrone che ha ispirato un reading per le scuole superiori nella sala Consiglio della Città metropolitana di Genova, promosso dalla consigliera di parità Mariacarla Sbolci con il consigliere supplente Carlo Chiesa e curato da Società per azioni politiche di donne.
MARIACARLA SBOLCI, consigliera di Parità per la Città metropolitana
La vita per le famiglie di Andra, Tatiana e Sergio precipitò per il tradimento di un vicino di casa.
Poi il trasferimento alla Risiera costruita dagli austriaci nel 1913 e diventata lager.
E poi il treno fra stenti e angoscia verso l’orrore di Auschwitz.
Nonna Rosa fu uccisa subito nella camere a gas. Le bimbe, il cuginetto, le mamme invece furono chiusi nelle baracche.
Sergio, al contrario delle cuginette, non tornò mai a casa. Cadde nella crudele trappola dei nazisti che selezionavano bambini per i loro orrendi e sadici esperimenti pseudomedici.
Anche lo sport che unisce nel nazismo tedesco, nel fascismo italiano e francese invece divise, perseguitò e uccise: atleti ebrei, sinti e rom, ma anche resistenti e oppositori. Lo ricorda la mostra “Sport, sportivi e giochi olimpici nell’Europa in guerra” sino al 17 marzo Museo della Comunità ebraica di Genova che l’ha organizzata con Mémorial de la Shoah de Paris e il contributo del Consiglio regionale. Sport strumento della politica e di controllo delle masse, a partire dai nuovi stadi.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
Uno sport che discriminava e perseguitava ma, paradossalmente, emancipò – in modo parziale e strumentale – le donne.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
Sport come propaganda e arma diplomatica per i neri regimi nazifascisti con il mito dell’uomo nuovo.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
In Italia nel primo dopoguerra arrivarono anche molti sportivi da altri paesi. Come il calciatore e poi grande allenatore ebreo ungherese Arpad Weisz.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
Ebrei, soprattutto, ma non solo, tra gli atleti perseguitati dal Reich hitleriano.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
E il razzismo non schiacciava solo l’Europa, come sperimentò sulla sua pelle il campione olimpico afroamericano Jesse Owens, medaglia d’oro nel ’36 a Berlino.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
E i nazisti mettevano in scena lo sport anche dietro i fili spinati dei loro lager.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova
Ne fu vittima anche il campione di nuoto Alfred Nakache, ebreo tunisino.
Miryam Kraus, vicepresidente Comunità Ebraica di Genova